…20…19…18…17…l’ascensore scendeva lento, un piano dopo l’altro.
Scalzo, un uomo al suo interno si godeva il freddo pavimento di metallo.
Le pareti erano di alluminio anodizzato, illuminate da bianchi neon al soffitto.
Il leggero rumore meccanico, basso e costante, lo metteva a proprio agio.
Si accese lo “zero”, le porte si aprirono, il rumore cessò e lui si ritrovò su un mare d’erba esteso fin dove l’occhio poteva vedere. La luce in quel posto era come filtrata da carta oleata e opaca.
Si concentrò sul respiro: percepiva l’aria entrare e uscire dentro di sé, la sentiva, quasi la vedeva.
Aveva atteso quel momento per anni ed era intenzionato a viverne ogni singola sfumatura, a imprimerselo dentro. Iniziò a camminare.
L’erba gli solleticava piacevolmente i piedi: ne percepiva la morbidezza e la dolcezza della rugiada, sentendo i singoli fili insinuarsi timidi fra le dita. Sulla destra il paesaggio digradava fino ad un fiume, la cui sponda opposta era costeggiata da platani e imponenti querce. Prese quella direzione.
Poco distante dalla riva, in cima ad alcune rocce alte circa due metri, stava seduto un ragazzo che ogni tanto, svogliatamente, lanciava un sasso nel fiume. Gli si avvicinò, fermandosi poco prima.
Il giovane (avrà avuto sedici o diciassette anni), lo guardò inclinando lentamente la testa.
– Hai messo su qualche chilo. – Apostrofò.
– In compenso non ho ancora i capelli bianchi. – Rispose l’uomo.
– Ti aspettavo prima.
– Ho avuto da fare. – Fu lesto a ribattere, allargando un po’ le braccia, a scusarsi. Non poteva farsi trovare impreparato o titubante con un ragazzino.
– Sono passati un po’ di anni. – Riprese l’uomo mentre si sedeva sulla riva del fiume, immergendo i piedi nell’acqua.
Il ragazzo scese dalle rocce e gli si sedette accanto. – E in questi anni cosa hai fatto?
Fotogrammi del passato invasero e dominarono la mente dell’uomo per alcuni secondi.
– Ho fatto parecchie cose, ricordarle tutte è dura. – Diplomatico.
– E allora perché sei venuto da me?
– Volevo vedere come stavi. – Il ragazzo guardò verso il fiume, pensoso. L’adulto tentò di ricordare quali erano i propri pensieri a quell’età e trovò una fumosa risposta nella definizione di egocentrismo: il mondo ruotava intorno a lui e alla sua personale convinzione di invincibilità, ma tutto ciò non sarebbe durato a lungo; a breve si sarebbe dolorosamente scontrato con quella parte della vita che la pensava diversamente.
– A casa è sempre un gran casino – il giovane parlò con rabbia trattenuta, l’adulto sorrise, ma solamente dentro di sé – mi sento usato da quei due come la loro valvola di sfogo, come se stessero insieme per avere scuse per darmi contro. A volte vorrei solo mandarli affanculo. – Sibilò fra i denti stretti.
L’adulto si stupì di come il giovane fosse vicino alla verità, ma si accorse di quanto fosse difficile pensare ancora nel suo modo; come se lo scorrere del tempo elevi muri che rendono vano il voltarsi.
– Sappi che non durerà ancora per molto. – Riuscì stupidamente a dirgli.
– Per quanto ancora?
– Io se fossi in te penserei al dopo, a cosa vorrai fare da grande, al fatto che dovrai cavartela.
– A volte ci penso, ma non mi sento ancora pronto. – L’adulto questa volta non trattenne la risata. – Neanche da grande ti sentirai pronto – e dopo una breve pausa rivolta verso il fiume aggiunse – ma tutto intorno a te esigerà che tu lo sia.
– Ma allora che senso ha pensare, come dici tu, al futuro, al dopo, perdendosi il presente, se so già che anche il futuro sarà stronzo e mi metterà comunque sempre alla prova?
Forse il tono di voce, forse la luce che si affievoliva negli occhi del giovane mentre diceva queste parole, ma una piccola crepa, piccolissima, si aprì nei vetri della facciata dell’uomo. Doveva forse anche lui pensare al futuro per contrastare le difficoltà del presente? Cos’è il futuro, per un adulto? Forse una maturità anticamera di vecchiaia? La crepa si allargò, ma la facciata tenne e il ragazzo non notò nulla.
– Non mi puoi dire di più? – Chiese all’adulto con occhi lievi e supplicanti.
– Sai che non sarebbe giusto. Ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.
Entrambi guardarono il fiume scorrere.
– Ne vale la pena? – Domandò il ragazzo.
I loro occhi verdi si fissarono, oltre le reciproche vite, oltre il loro tempo, nella loro solitudine; poi quelli dell’uomo tornarono al fiume.
– Sempre. Anche quando sarai convinto del contrario e sarai ad un passo dal rinunciare a tutto. Anche quel momento varrà l’esistenza intera.
– Sono sulla strada giusta?
– Ogni strada può essere giusta.
– A volte sembra tutto così buio.
– Imparerai a riconoscere le luci. Vedrai.
– Ma tu ci sarai ancora?
L’adulto rise di gusto. – Dipenderà da te. – Si alzò, seguito dal ragazzo.
– Ora devo andare. – Sussurrò guardando nella direzione dell’ascensore.
– Lo so. – I due si abbracciarono. – Non mollare mai. Mai. – Bisbigliò l’adulto all’orecchio del giovane.
Tornò sui suoi passi, verso l’ascensore. L’erba lo solleticava ancora. Le porte erano aperte. Anche il pavimento era ancora freddo. Inspirò e sorrise.
Premette il pulsante più alto, quello del suo piano, del suo tempo, della sua realtà.
1…2…3…4…
L’incontro
07 venerdì Set 2012
Posted 1207: Ritorno, Racconto
in
porphydo ha detto:
Questa valle mi ha fatto pensare al fiume Mnemosine, il fiume della memoria, opposto al Lete, il fiume dell’Ade e della dimenticanza.
Nel complesso l’ho trovato un po’ scontato, sia per stile che per contenuto. Direi che questa storia è quasi un topos.
Per esempio ti saresti potuto soffermare di più sull ambientazione, metterci qualcos altro a parte il tipico fiume e la tipica erba. Forse volevi rimandare a un immaginario preciso – che infatti arriva chiaro – ma così risulta un po’ troppo standardizzato.
Marselus ha detto:
Ciao. Effettivamente avrei potuto arricchire l’ambiente, ma non volevo discostarmi troppo dal “setting” originale. Quando ho visto fare esperimenti di ipnosi utilizzavano una descrizione ambientale come questa: pochi e chiari elementi sui quali focalizzare i sensi (un metodo come ce ne sono tanti, sia per quella indotta che per l’auto-ipnosi). Le rocce, ad esempio, le ho aggiunte di mia iniziativa, in un infelice tentativo di “movimentare” il piattume dell’erba. Non so se alla fine si capisce che il ragazzo e l’adulto sono la stessa persona e che si incontrano in uno “spazio-tempo” diverso dal livello reale, con l’adulto che scende lungo i livelli della consapevolezza (ascensore) fino a regredire al se stesso di anni addietro, Il fiume è, come dici tu, il simbolo dello scorrere del tempo e l’erba invece, nelle procedure di ipnosi, non so bene cosa rappresenti, forse uno stato libero da ostacoli e pensieri che limitano l’orizzonte, forse una tabula rasa…idem per la luce opaca senza il Sole, che dovrebbe essere l’Illuminazione, ma senza la dipendenza fisica da un singolo elemento (il sole appunto)…l’ipnosi è un mondo da interpretare (che uno ci creda o no) ed è composta da una simbologia tutta sua, simile a quella onirica, ma solo fino ad un certo punto.
grazie mille per averlo letto e commentato.
newwhitebear ha detto:
Incontro della fantasia dopo il passato è il futuro. Il ragazzo è il passato dell’adulto, che ripensa alla sua vita. Però si rende conto che è meglio pensare a quello che gli sta davanti
marytarta ha detto:
Onestamente: non so che dire. Mi ha stupito e al tempo stesso ha evocato cose forse già viste, già sentite, non sai bene dove, ma in ogni caso ben “rievocate”, ben esposte. Bei dialoghi, bell’atmosfera. Di base, non mi sono neanche avvicinata a capire quello che poi spieghi nel commento: mi ero infatti immaginata una sorta di incontro tra “il creatore” o un suo mandante e il ragazzo che si trova a vivere questa insensata e indispensabile vita terrena. Di qui tutto il dialogo sulla fatica e il senso di esistere.
Forse è vero che non è originalissimo, però non posso neanche dire non mi sia piaciuto, perché anzi l’ho trovato gradevole.
Ad esempio: l’immagine della crepa e della facciata non sono, se vogliamo, nuove; eppure le inserisci bene, il testo scorre e l’immagine risulta chiara e forte, ben caratterizzata.
D’altronde, tutto il testo si pone domande eterne (quindi non nuove, ma sempre valide) cui nessuno sa dare una risposta definitiva, per cui mi piace anche questo punto: “Ma allora che senso ha pensare, come dici tu, al futuro, al dopo, perdendosi il presente, se so già che anche il futuro sarà stronzo e mi metterà comunque sempre alla prova?”
Potrebbe essere un piccolo spot, un corto. Trovo fatica invece a inserirci tutto il simbolismo che citi, probabilmente per mia mancanza di conoscenza o di interesse sull’argomento, l’ipnosi. Però, se sei partito da questo, probabilmente per te il simbolismo ha un suo valore, e anche forte. In tal caso, manca effettivamente qualcosa, qualche elemento atto a definire meglio il contesto che vuoi trattare.
porphydo ha detto:
Io non ho fatto fatica a capire che si trattava della stessa persona. Trovo sia esplicitato abbastanza che il ragazzo altri non è che l uomo da giovane.
tataillo ha detto:
“Non so se alla fine si capisce che il ragazzo e l’adulto sono la stessa persona e che si incontrano in uno “spazio-tempo” diverso dal livello reale”, chiedi. Si, si capisce.
E’ vero che l’ambientazione, l’atmosfera non sono “innovative” ma hai reso bene la sensazione di un evento improbabile che non può avvenire che in un luogo surreale.
Devo dire che le rocce stonano un po’, preferivo il “piattume”, come dici tu :-)
“Sempre. Anche quando sarai convinto del contrario e sarai ad un passo dal rinunciare a tutto. Anche quel momento varrà l’esistenza intera.”. Ecco, questa frase vale l’intero racconto e molto di più.
gioagn ha detto:
Giunto alla vecchiaia inoltrata, Jorge Luis Borges scrisse un racconto dal titolo “L’altro, lo stesso” in cui immagina di incontrare lungo un fiume, un ragazzo che a poco a poco si rivela essere sé stesso. E’ uno dei miei racconti preferiti, tanto che nel mio piccolo scrissi e postai tempo fa in Anobii un raccontino che voleva essere una sorta di tributo. Come scrive anche Porphydo questa storia è un po’ abusata. Sin dall’inizio si capisce che i due personaggi sono la stessa persona. Lo si capisce anche in Borges, solo che nel suo racconto quest’identificazione è progressiva e dichiarata e magica. Un pochino scontato.
fullhappyseason ha detto:
Non trovo che sia importante individuare subito che il ragazzo e l’adulto sono la stessa persona. Come hanno già detto altri, anche a me il pezzo ha rimandato un’impressione di Déja Vu. Per me questa impressione è dovuta più al modo in cui il pezzo è scritto, meno allo stereotipo usato. Dal tuo commento vedo che per te la regressione ipnotica che ti ha donato l’ispirazione è un precedente importante. Potresti fare uso dell’autosuggestione per immergerti nuovamente nel racconto che ha da perdere quel distacco, quell’eccesso di “ragionato” che lo imprigiona
Ztefano ha detto:
Strana allegoria, composta da simboli classici (il fiume, la pianura) e moderni (l’ascensore). Mi ha lasciato un po’ disorientato.
Se non avessi letto i commenti, confesso che forse a stento avrei potuto dire che i due fossero la stessa persona.
Due aspetti ho trovato inconguenti: il fatto che l’ascensore arrivi al piano zero (forse che più in profondità di un regresso all’età adolescenziale non sia possibile scendere?) e che per tutto il dialogo sia il ragazzo a tenere in mano il filo del discorso (ma se il sogno/incanto/introspezione è tutto nella coscienza dell’adulto, come è possibile che l’altro sé agisca in autonomia, ponendo domande, cercando rassicurazioni?). Insomma, se la discesa nella propria coscienza ad incontrare sé stesso da giovane ci lascia tornare su immutati, così come eravamo venuti, che vantaggio ne abbiamo?
Infine, concordo con Tatailllo che la frase con cui l’uomo incoraggia il ragazzo a non mollare perché la vita val sempre la pena di essere vissuta illumina e riscatta tutto il racconto.
Marselus ha detto:
Ztefano, belle osservazioni. Parto dal presupposto che ho forti dubbi riguardo all’ipnosi in generale, ma che ho avuto modo di vederla funzionare (alla grande) anche se solo su chi da essa è facilmente suggestionabile. La presenza dell’ascensore così come del prato faceva parte dell’inizio dell’esperimento, nel senso che serviva all’ipnotizzatore (che nel racconto è assente, trattandosi di auto-ipnosi) a prendere le redini della coscienza dell’ipnotizzato. La descrizione della discesa, i numeri contati lentamente, il soffermarsi sulla percezione del pavimento, dell’erba ecc. il tutto con tono di voce fermo, pacato e lento vengono fatti mentre il soggetto è disteso o seduto ad occhi chiusi e gli si chiede di immaginarsi ciò che gli viene descritto. Il raggiungimento del piano zero non ha un collegamento con il livello dell’età in cui si è regrediti (attenzione: io ho descritto una specie di regressione, ma è uno degli esperimenti meno frequenti, di solito ci si “limita” a tentare di entrare in comunicazione con l’inconscio del soggetto, oltretutto una regressione autoimposta può essere pericolosa, visto che tecnicamente, se dovesse davvero funzionare, il soggetto dovrebbe tornare ad un periodo in cui non sapeva né ipnotizzarsi, né tornare allo stato cosciente!) Il livello zero è solo un segnale di “raggiunto stato ipnotico” cioè è il momento in cui inizia l’ipnosi vera e propria. E’ da questo momento che si può capire se il soggetto è suggestionabile e se l’ipnotizzatore è capace. HAi presente gli assurdi esperimenti di Giucas Casella…al mio 3 cadrai in un sonno profondo…bene il suo 3 è l’apertura dell’ascensore. E’ solo un punto d’inizio.
Nel mio racconto, ho descritto il punto di vista dell’adulto, ma a ben pensarci ci dovrebbe essere anche il punto di vista del ragazzo: in qualche modo anche lui se è lì presente e partecipe, deve essere stato ipnotizzato, non è frutto dell’immaginazione dell’adulto, visto che è lì in maniera molto attiva. Dal suo punto di vista, non è regredito, ma al contrario, per la prima volta vede se stesso da adulto….volendo essere pignoli, e io non lo sono, i 2 sono stati ipnotizzati (o si sono ipnotizzati) in tempi diversi, e condotti nello stesso luogo…sono certo di averti incasinato ancora di più le idee.
L’adulto non torna a casa identico a prima, è la sua la vetrata/facciata con la crepa, è lui che si trova a dover fare i conti con le affermazioni del ragazzo, il quale di contro, riceve una rassicurazione e non molto di più, se non il sapere di essere vivo dopo un po’ di anni e con qualche kg in più.
Gioagn, andrò sicuramente a cercare sia il tuo racconto (qual’era il titolo? ti ricordi per caso il periodo in cui lo hai postato?) sia quello di Borges: mi hai molto incuriosito.
Grazie per i vari consigli e commenti.
Ztefano ha detto:
Ti ringrazio della spiegazione che chiarisce meglio il discorso della ipnosi. Ammetto che, nonostante la tua precedente spiegazione, io ero rimasto fermo ad una lettura allegorica. Colpa mia e della mia ostinazione a proseguire l’interpretazione secondo le impressioni della prima lettura.
Mi accodo alla richiesta a Gioagn ed aggiungo che a me “El otro, el mismo” risulta essere una raccolta di versi e che un racconto intitolato “Venticinque agosto 1983” narra di due Borges, uno anziano ed uno ancora più vecchio, che si sognano a vicenda in una stanza d’albergo. mi piacerebbe risalire invece al racconto di cui parla, dove i due Borges si incontrano in riva al fiume.
mariella2 ha detto:
Concordo con alcuni commenti precedenti: è un bel racconto, scritto bene, credibile nei dialoghi, che apre spunti di riflessioni significativi…però è sciupato dal fatto di non essere originale. La mente va ad altri racconti simili, a certi film americani che si facevano vedere e rivedere con interesse. Di conseguenza il commento risulta un po’ condizionato. Però io penso che se uno scrittore ha voglia di mettere su carta sensazioni e stati d’animo che, probabilmente, gli premono dentro, non è detto che debba rinunciare perché il tema e la circostanza sono stati già affrontati.
Questo scritto è “questo scritto”, con la sua dinamica interna e, a leggerlo senza aver letto o visto già qualcosa di somigliante, risulta godibile, scorr fluido e lascia al lettore molti momenti di immedesimazione.