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La donna dai capelli neri – neri come solo una tinta può renderli – si siede. Apre la borsetta e controlla ancora una volta di aver spento il cellulare. A fianco a lei il figlio, in piedi sull’inginocchiatoio, fa scorrere un dito nei solchi levigati del legno della panca. La sua attenzione è tutta in quel ditino che esplora i forellini dei tarli, le fenditure, le nodosità e le altre ferite lignee levigate da decenni di strofinii e incerature. Non si cura della messa né della madre accanto a lui. A modo suo ha capito che lui, ancora piccolo, in chiesa non è tenuto a comportarsi come i grandi. Basta solo farsi notare il meno possibile. Ma sa anche che è solo questione di tempo e che prima o poi toccherà anche a lui.
Infatti suo fratello, che ha solo due anni in più e fa già seconda, è là davanti nei primi banchi coi compagni di catechismo. Sono raggruppati per età e tenuti a bada dagli sguardi accigliati delle catechiste pronti a fulminare chi si agita o non sta composto o chi semplicemente si distrae.
Adesso la madre si alza e dice qualche parola sottovoce. Anche il resto dei presenti pronuncia le stesse parole, ma nessuno si cura di andare a tempo; neppure col proprio vicino. Cosicché la navata si riempie di un vocìo che riecheggiando sulle antiche pietre finisce per risultare un sordo brusio indistinto.
La donna sta pensando ad altro. Finita la messa dovrà attraversare la città per andare a pranzo dai suoi. Pensa alla strada che dovrà fare, alle cose che dovrà dire, ai silenzi che avrà in risposta. Pensa ai figli, al futuro che li attende in agguato, al futuro che loro si meriterebbero. Si chiede quale sia stato il punto di non ritorno. Sospira. Forse vorrebbe piangere.
Dalla penombra della navata laterale avanza, stretta nelle spalle curve e trascinando un po’ i piedi, una ragazzotta bionda. Gira intorno uno sguardo timido, quasi timoroso. Si avvicina al bambino fermandosi in piedi a lato della panca, nello spazio di passaggio tra le colonne e la lunga fila di banchi. Dà l’impressione d’essere nervosa. Con un gesto irrequieto si passa le mani sui fianchi, con le palme aperte e le dita tese.
Dietro di loro un’anziana donna sta dicendo qualcosa sottovoce al marito. Fa un cenno con la testa in direzione della ragazza. Poi torna a perdersi nella propria assorta devozione.
Si vede chiaramente che la ragazza è a disagio. Forse non è mai entrata in chiesa prima d’ora. Ma lei è convinta che un posto vale l’altro e che una chiesa, in fondo, non può essere peggiore di un ospedale.
Non è il futuro che la impensierisce, ma è soffocata ed inorridita dal presente. Questo presente con le sue rinunce e con le sue invalicabili resistenze. Sa benissimo qual è stato il punto di non ritorno. Sospira, ma non ha nessuna intenzione di piangere.
La messa intanto è arrivata al Padre Nostro. Al momento di scambiarsi il segno di pace le due donne si guardano negli occhi mentre si stringono la mano al di sopra della testa del bambino. La ragazza crede di intuire una nota di rassegnazione negli occhi della donna. Si fa coraggio, si china a guardare in faccia il bambino e gli prende la mano sorridendo imbarazzata. Poi si rialza e rimane così, con lo sguardo rivolto all’altare, con quella manina stretta nella sua.
Il bimbo guarda in su prima la sconosciuta, poi la mamma.
Le due donne invece non si guardano. Sembrano fissare un punto lontano, appena consapevoli l’una dell’altra, ciascuna sospesa nei propri pensieri.
Un canto stentato preannuncia la conclusione della celebrazione. I fedeli s’apprestano a fare ritorno alle proprie impacciate esistenze.
E per un attimo, vedendoli da dietro, si potrebbe pensare che la ragazza bionda sia la madre del bambino.
La messa è finita… andate in pace.
newwhitebear ha detto:
Il ritmo mi sembra lento e il tono narrativo un tantino soporifero. Forse sarà la stanchezza di una giornata calda e ventosa.
Ztefano ha detto:
Lento, sì sono d’accordo, ma soporifero non era nelle mie intenzioni. Forse l’ambientazione non propriamente allegra e solare richiedeva una lettura autunnale…
:)
marytarta ha detto:
L’immagine del bambino che col ditino esplora i forellini della panca è molto efficace e vale da sola il testo, che per il resto però sembra essere incompiuto. Penso il tuo intento fosse quello di tracciare un piccolo affresco, una pennellata di sguardi e incontri che si svolgono nel corso di un evento, la messa, che vede l’incontro di “anime”, ciascuna con la sua pena. Un primo problema però lo vedo nel fatto che non hai ben individuato il punto di vista dell’osservatore: chi è che descrive la scena? Non il bambino, non una delle due donne, una terza parte che somma le tre “presenze” senza però trovare un risultato, oppure cercandolo inutilmente quando almeno le due donne non sembrano avere punti di contatto se non quello scambio del segno della pace.
Ecco qui c’è un elemento di debolezza, perchè sembri voler individuare una qualche relazione tra le due donne, ma subito dopo sembri abbandonare questo proposito: inizialmente infatti ho provato a immaginarmi una sorta di sorella nascosta, o di vera madre, che so, poi in realtà mi è sembrato che di fatto non volessi portare avanti nessun effetto sorpresa, solo, appunto, un gioco di incontri e sguardi tra persone che vivono una qualche loro difficoltà.
Non mi ha convinto la parte dove la donna (la madre?) pensa ad altro e forse sta per piangere: impressioni lanciate senza un seguito e senza un perché, forse non sei riuscito a calibrare bene l’intenzione di rimanere solo osservatore con quella di chi vuole andare oltre e acccennare una storia, un dispiegarsi di eventi.
Anche l’altra donna viene solo accennata nel suo relazionarsi alla mamma e al bambino, poi però lanci quel “sasso” finale, dove lei potrebbe essere scambiata per la madre…volevi farci intendere qualcosa?
La scena si svolge durante una messa, ma poteva essere ambientata su un mezzo pubblico o dovunque vi siano una vicinanza coatta e uno stazionamento prolungato, quando un po’ per noia un po’ per curiosità entriamo nella vita degli altri per qualche minuto e cerchiamo di immaginarci chi sono, dove vivono, cosa pensano: voli pindarici nella quale si misura il nostro grado di empatia e anche la capacità di tenere la “giusta distanza” tra noi e gli altri: senza invadere, senza essere invasi. Potevi volare sulle persone e sorvolare, non lo hai fatto, ti sei fermato quel troppo da farti immaginare una storia complicata e dolorosa, ma ti ha tirato un brutto gioco il tempo: la messa era già finita. :)
Ztefano ha detto:
Beh, hai messo il dito su tutte le piaghe possibili… Nel senso che hai puntualmente notato tutte quegli aspetti su cui avevo dei dubbi, ma che non ho saputo risolvere.
Chi racconta non sarebbe dovuto apparire proprio: non avrei voluto ‘svelare’ i pensieri delle due donne. Ci ho provato, ma non sono stato capace di mostrarne il carattere o lo stato d’animo solo descrivendone i gesti. Lo stesso vale per il bambino, ovviamente.
Altro errore: ho cercato di far passare una mia interpretazione della scena, perché temevo che altrimenti non si capisse nulla. Ma dicendo e non dicendo ho forse invece ingenerato altra confusione. Purtroppo, avendo in mente quella certa motivazione che spinge la ragazza a comportarsi così, non sono riuscito ad astrarmi abbastanza per vedere il risultato in modo imparziale, da lettore ignaro.
Insomma si percepisce troppo la presenza del ‘testimone’ narrante.
Ho scritto tutto al presente (perché? non lo so…). Ho provato a rileggere il brano con tutti i verbi al passato, e forse (dico forse) la presenza del narratore si nota di meno.
Non sono invece d’accordo che l’ambientazione potesse essere un qualsiasi posto affollato. Forse poteva andar bene un parco, ma il bambino sarebbe andato in giro e io invece avevo bisogno che fosse tranquillo, a “portata di mano”. :)
Questa scena mi ‘perseguita’ da quasi tre anni. Quando l’avevo immaginata mi sembrava avesse una sua forza intrinseca, indipendente dal come potesse essere narrata, ma la mia goffaggine l’ha irrimediabilmente appiattita.
Ztefano ha detto:
Ah, dimenticavo: anche il titolo non mi convince troppo. Voleva essere un ulteriore tentativo di spiegazione, ma non vi dico in che senso, ecchediamine! :D
marytarta ha detto:
Bè, no, il titolo mi sembra invece azzeccato, per lo meno per come ho interpretato io il tuo testo: Tangenze, punti di contatto, incroci. A me l’idea non è dispiaciuta affatto, e, ripeto, partirei proprio dal bambino che mi sembra avere una sua “forza”, quella stessa cui forse tu accenni, per costruire il resto. Sul discorso dell’ambientazione, non volevo proportene una diversa, volevo solo dire che queste “tangenze”, appunto, questi punti di contatto tra diversi si creano particolarmente in alcune situazioni. La Chiesa è, o dovrebbe essere, un luogo di meditazione, quindi assolutamente diverso dal resto. Spesso chi si reca lì lo fa con un peso e un dolore che solo in quel contesto riesce ad esternare. Non volevo assolutamente togliere la valenza della tua scelta, forse però anche su questo, visto il poco spazio che hai dedicato al racconto, potevi lavorare di più. A mio parere si tratta solo di riprenderlo e provare a svilupparlo, potrebbe essere interessante.
Ztefano ha detto:
Ecco infatti un altro ‘difetto’ di bilanciatura: il bambino doveva essere un personaggio secondario, al pari della madre, mentre l’attenzione andava indirizzata verso la ragazza bionda… ah, che disastro :(
Quanto a rimetterci mano, non so… mi sembra che tutta la faccenda si sia sgonfiata parecchio e che non valga la pena insisterci. Preferisco passare ad altro… che so, per esempio ai conigli. :)
Marselus ha detto:
ciao.
Sono rimasto colpito dal fatto che questa scena ti sia girata intorno x 3 anni. La scena è forte, è un bello spunto. Credo valga la pena insisterci e ritentarci, anche solo x te stesso. Dopo 3 anni merita maggiore attenzione e profondità. Io credo che il centro debba essere il bambino, ma credo anche che il suo sia il punto di vista più difficile, visto che si trova di fronte 2 madri, un prima, un dopo, una certezza abbattuta, un incertezza di fondo, un primo grande, immenso dubbio su se stesso…ci sarebbe molto da costruire!! Senza dimenticare che non necessariamente il bambino possa arrivare alla verità, quella potrebbe essere lasciata (forse) al lettore adulto; ma anche qui non sarebbe facile, ma ci si può provare, io lo farei assolutamente, visto i 3 anni durante i quali questa scena ha voluto presentarsi a te. Un motivo ci sarà. Credo tu glielo debba.
Trovo pesanti i troppi pronomi nella parte iniziale.
ciao
Ztefano ha detto:
Caspita, hai ragione! troppi pronomi inutili. Pensa che ho lavorato a togliere, ma questi non li avevo notati.
Quanto al discorso dei tre anni, avevo scritto che la scena mi ‘perseguita’ in senso ironico… insomma, non è che non ci ho dormito la notte :)
Oltretutto in questi tre anni lo sviluppo del racconto, nella mia testa, ha assunto di volta in volta strutture differenti. In una di queste immaginavo una storia triplice, con tre partenze (la coppia di anziani a casa, il bambino a zonzo per strada, e la ragazza che esce da un ospedale) e tre intersezioni tra ciascuna storia e le altre, in tre diversi momenti della giornata. Ma si è rivelata una struttura troppo complessa, fuori dalla mia portata. Ho provato a salvare questo frammento, ma con scarsi risultati.
tataillo ha detto:
Da quel che ho capito io il bambino è oggetto di scambio. La madre lo cede alla donna bionda? E’ costretta ad allontanarlo da sé?
“Finita la messa dovrà attraversare la città per andare a pranzo dai suoi. Pensa alla strada che dovrà fare, alle cose che dovrà dire, ai silenzi che avrà in risposta. Pensa ai figli, al futuro che li attende in agguato, al futuro che loro si meriterebbero.”
Ecco, nella frase appena riportata mi sembra si introduca un’idea angosciante che poi si esplicita nella tragedia che si concretizza quando la “donna bionda” prende il bambino per mano e lo conduce altrove. Il bambino la segue senza batter ciglio. Non ci sono stepiti, non ci sono lacerazioni apparenti, il tutto avviene in chiesa, con la “benedizione di Dio”. E’ in quella rassegnazione che sta la vera tragedia.
Ecco, questa è l’idea che mi hai trasferito. E, se la mia interpretazione coincide col tuo intento, trovo il racconto compiuto e soddisfacente.
…ma era questo il tuo intento :-)
Ztefano ha detto:
uhuhhhhh un commento di tata :)
come sempre molto profondo e sensibile.
Rimango stupito di come tu, ma anche gli altri che hanno commentato, sappiate vedere più cose (e più sensate) di quante ne abbia volute intendere io.
In particolare questa tua interpretazione di una cessione del figlio ad un’altra donna non l’avevo proprio valutata e trovo che, letto così, il racconto risulti più forte e drammatico di quel che pensassi.
Sono irrimediabilmente incapace d’esprimermi :(
marytarta ha detto:
Sì, vabbè Stefano, ma allora ce lo dici quello che volevi intendere prima o poi? Perchè insomma, te lo stiamo scrivendo noi il racconto … ;)
Ztefano ha detto:
heeheee abbiamo scritto assieme :)
comunque ormai non posso più ‘spiegare’ il mio racconto: che figuraccia farei? I vostri racconti sono migliori. Teniamo buoni quelli. :D
Ztefano ha detto:
Devo ringraziarvi tutti per i commenti, perché mi hanno fatto vedere il racconto da altre angolazioni. Mi avete fatto capire che sebbene non sia stato in grado di rendere i personaggi così come li avevo immaginati, il racconto ha qualche possibilità intrinseca. Se dovessi mettervi mano lo riscriverei in modo completamente diverso. Tutti i vostri consigli sono stati preziosissimi. Grazie.
tataillo ha detto:
Io ringrazio te per il garbo con cui mi hai detto che non ho capito proprio nulla.
Però la tua versione ce la potresti dare. Potresti inserire un commento da lettore al tuo post da narratore e dire cosa pensi del brano standogli di fronte…
marytarta ha detto:
quoto Tataillo e il suo “garbo” che mi ricorda tanto la mì nonna e le lucciole d’estate e i papaveri e la cecina con la spuma e…e….e….
porphydo ha detto:
Mi è piaciuto davvero molto. Rivela uno sguardo particolare. Queste tangenze sono un po’ come le onde di Virginia Woolf: vite che per un attimo, sfiorandosi inconsapevolmente, condividono qualcosa. Mi piace lo sguardo che riesce a evitare di stare nell uno o nell altro spazio dei due cerchi ma si posiziona nel punto di tangenza, appunto. E tutto avviene in chiesa, ottima scelta. Non sono credente, ma le chiese, solo per una questione di architetture, mi “significano” sempre qualcosa.
Bello. Avrei tolto l ultimo rigo, anche se ne colgo il significato. Secondo me però si sarebbe colto anche senza.
porphydo ha detto:
Ops.. Leggo adesso gli altri. Io non ho cercato nessun significato nascosto. Mi è solo sembrato che nello scambio del segno di pace tre vite si incrociassero per un istante, che una (il bambino), ignaro delle convenzioni, si aspettasse qualcosa di più da una donna sconosciuta che gli ha stretto inspiegabilmente la mano, e che le altre due continuassero, dopo un segno fin troppo convenzionale, per la propria strada dentro i propri pensieri.
tataillo ha detto:
Effettivamente a rileggere il racconto, dopo aver letto il tuo commento, il senso mi sembra quello che tu dici. Io nella mia “interpretazione tragica” avevo persino visto la ragazza bionda e il bambino allontanarsi insieme…potere del voler vedere quel che si è deciso!