अउ अंखदऐ श झत डडईगठ
Ero in vacanza nel Kukimistan, un paese esotico e misterioso, dove si parlava una strana lingua dal nome cacofonico Hindarumud, che avevo scoperto essere un dialetto della lingua madre, Murdacitui, più comunemente nota come Caro bollo.
Dunque ero in vacanza solitario e curioso in questa landa semidesertica ma popolata da un popolo bizzarro con le labbra blu e il naso a sventola. Veramente erano le orecchie, mentre il naso era a forma di patata schiacciata.
Non capivo una mazza di quello che dicevano ma loro ridevano e ridevo anch’io, alla fine ridevamo tutti. Chissà cosa pensavano di me ma se loro sapevano cosa pensavo di loro mi avrebbero bastonato. Dopo essermi annoiato a morte perché non c’era nulla da vedere. Ho deciso di prendermi un souvenir da mettere nella mia collezione dei viaggi impossibili.
Gira e rigira, e dopo una nuova giravolta, mi sono ritrovato per terra sporco di sabbia nera e rossa. Naturalmente tutti ridevano e siccome il riso è contagioso come la peste, ho cominciato a ridere anch’io.
“Ma che c’è da ridere” dissi un po’ innervosito, mentre mi tenevo la pancia per il riso convulso.
“Glu, glu mum trun, strun vun ku” rispose un kukumistano dal ciuffo tipo Macario e vestito come il signor Bonaventura. Li ricordate? E va bene, non fa nulla, sarà per un altro post.
“Sembri un tacchino starnazzante” risposi indispettito, mentre mi alzavo colorato di rosso e di nero.
“Pare che non riesca a trovare un oggetto ricordo da comprare” dissi ad alta voce.
“Ququ Murumu” replicò portando la mano sul naso.
“Hue! Bellimbusto. Il cucù marameo lo vai a dire a Angela” risposi con una boccaccia. “Qui la situazione precipita se non mi do una mossa”.
Vedo un negozio con questa insegna ठआमअ इनचउलआ , che era parlante per chi conosceva la lingua Hindarumud ma non era il caso mio. Comunque mi diressi verso quella bottega con cipiglio da trionfatore.
“E’ quello che fa per me!” dissi ed entrai deciso.
Sugli scaffali impolverati di rosso e di nero, racchiusi in cellophan trasparente vidi un libro dal titolo accattivante अउ अंखदऐ श झत डडईगठ . Potreste immaginare la mia sorpresa nel trovarlo lì. Non avevo la più pallida idea di cosa parlasse ma tutto congiurava per farmelo comprare.
“Lo compro. E’ mio! E’ mio!” urlai a squarciagola mentre un ominide con un paio di occhialini neri e rossi mi guardava come se fossi appena scappato dal manicomio.
Lo presi e lui me lo strattonò per strapparmelo ma io non mollavo la presa.
“E’ mio!”
“Nu, Nu!” rispose senza cedere di un millimetro.
“Ma che cacchio dice? In che lingua parli? Impara l’italiano, troglodita!”
“Mu, mu!” replicò inferocito come un gatto in amore.
Il balletto andò avanti e indietro per tutto il pomeriggio, mentre una folla ridente, parevano tante iene ghignanti, si era assiepata sull’ingresso per assistere alla lotta per il possesso di un libro.
“Fu, fu! Du vudu stu minchiu!”urlavano incitando il kumistano a non cedere la preda.
Alle otto di sera, il negoziante disse qualcosa che naturalmente non capì. Per forza parlava in lingua e nessun traduttore simultaneo me lo traslitterava in italiano.
“Duvu chudu nugu. Dumu cuntu”.
“E no, bello mio. Di qui non esco se non mi porto via questo libro e il dizionario in lingua Hindarumud per la traduzione in italiano” dissi come un esagitato, rosso in viso e con grandi aloni di sudore sparsi a macchia di leopardo sulla camicia e pantaloni.
“Nu, nu” rispose.
“Sì, sì” replicai.
Insomma per farla breve riuscì nell’intento di portarmi in hotel libro e dizionario.
“Ma come hanno scritto? Sembrano sgorbi di zampe di gallina. Mi hanno imbrogliato. Domani torno e gliene dico quattro” mi dissi, mentre entravo nella doccia che come ovvio non funzionava. Mi domandai cosa funzionava in questo paese del kaiser. Sicuramente nulla, nemmeno il mangiare.
Mi ero insaponato per bene, avevo usato lo shampoo per i capelli. Il tutto in allegria, fingendo che l’acqua scorresse abbondante e calda. Già mi sentivo meglio. Non c’era nulla di più rigenerante di una doccia fantasma.
Finite le abluzioni, ho preso il mio tablet.
“Questo non mi molla mai” dissi con un sorriso a 32 denti. Forse anche qualcuno in meno.
Fatta una foto alla copertina del libro, una vocina dal tono profondo e stentoreo mi informò che il libro tanto sudato era disponibile su IBS.IT come remainder a 1€ dal titolo «La tramadura dell’amore» di Terun DJ Trepal e mi davano anche l’incipit iniziale.
«Non è l’amore il separatore più forte tra un uomo e una donna, ma il sesso»
Aprì il libro in lingua originale Hindarumud e provai a leggere la prima riga.
“E questi sgorbi descrivono questa bellissima frase profonda e intelligente?” riflettei stupito, richiudendolo immediatamente. Finsi di collegarmi a Internet e misi nel carrello il libro. “Non pensate che qui Internet arrivi. Tutta fantasia” mi risposi ridendo.
“Del dizionario Hindarumud-Italiano non me faccio una pipa. Questa lingua è per paesi sottosvillupati. Finiranno tra i cimeli dei viaggi del Nonsenso”.
Ero tranquillo e contento con un prezioso reperto di lingua Hindarumud in mio saldo possesso. Domani con un viaggio lowcost lasciavo queste lande dalla lingua gorgogliante da tacchino per tornare nella civilissima Italia, dove c’erano, sì, 5000 dialetti ma almeno a spanne e a gesti ci si poteva intendere. “E’ una lingua universale, migliore persino dell’esperanto”.
“Che viaggio, che lingua!” gorgogliai addormentandomi.
newwhitebear ha detto:
Scritto appositamente per Lo Scrittorio con la speranza di aver rispettato lo spirito della parola del mese.
marytarta ha detto:
Non mi è piaciuto molto, sembra tu abbia forzato la mano tanto per trovare qualcosa da scrivere. O forse non l’ho capito.
newwhitebear ha detto:
Nessuna forzatura ho usato per scrivere questo post né ho scelto a priori la parola del mese. Avevo in mente qualcosa di fantasioso e improbabile. Poi ho visto che c’era una parola del mese che si poteva adattare al post. Credo che non ci sia nulla da capire nella storia.
Questo non implica, anzi lo esclude, che per forza di cose possa piacere, che è una sensazione del tutto soggettiva e personale.
newwhitebear ha detto:
Aggiungo un particolare. Scrivere una storia che abbia per tema una parola è alquanto difficile, perché i risultati sono per lo più deludenti.
porphydo ha detto:
Non si tratta di scrivere qualcosa che abbia necessariamente per tema la parola del mese: lo scopo è farsi ispirare da quella parola, anche se poi la storia che si scrive parla di tutt’altro e la parola in questione compare solo una volta e quasi per caso. Insomma, ognuno può gestire la regola della parola come preferisce.
Passando al racconto, ti dirò sinceramente che neppure a me è piaciuto e che l’ho trovato trascurato dal punto di vista formale (i tempi verbali non rispettati, la terza persona singolare del passato remoto al posto della prima, dubbie scelte lesssicali) e approssimativo e quasi casuale sul piano dei contenuti. Più che farmi sorridere, come era forse nelle tue intenzioni, lo sguardo di questo occidentale che guarda dal piedistallo un “romantico esotismo” mi ha un po’ irritato. In parte influisce anche il mio gusto, che non gradisce questo tipo di narrativa sarcastica.
newwhitebear ha detto:
Grazie per le utili spiegazioni sull’uso della parola del mese. In effetti avevo le idee confuse.
Passando alle osservazioni, mi fanno riflettere sullo scritto e su come è scritto. Quindi le trovo importanti per migliorarmi.Lo rileggerò con calma per applicare le tue considerazioni.
Per quanto riguarda il tema o piace o non piace. Su questo non discuto mai ma lo accetto sempre. Qualsiasi discussione sui gusti personali la trovo aziosa.
Grazie per l’attenzione prestata.
Ztefano ha detto:
Questa cosa che anche tu non hai osato definire ‘racconto’ ma, giustamente, hai classificato come ‘altro’ secondo me ha una sua ragion d’essere. È uno scherzo giocato sul nonsenso dove una storia vera e propria non esiste e i personaggi agiscono e interagiscono in modo assurdo, surreale, come in una specie di Hellzapoppin’.
Quindi se sulla storia poco o nulla si può dire, rimane però da criticare la forma del testo che, come ti hanno già fatto notare, presenta delle lacune che distraggono e, in un certo senso, vanificano l’aspetto ludico dello scritto.
In particolare l’uso dei tempi verbali: mescoli presente, imperfetto, passato prossimo e passato remoto senza troppa attenzione per il tempo in cui si svolge l’azione e per le consecutio.
Ho trovato anche due errori di coniugazione del passato remoto:
“il negoziante disse qualcosa che naturalmente non capì” egli capì —> io capii
“riuscì nell’intento di portarmi in hotel libro e dizionario” egli riuscì —> io riuscii
Ci sono qua e là anche errori di punteggiatura.
Insomma, un po’ più attenzione alla forma potrebbe rendere giustizia anche a questo esercizio di fantasia.
newwhitebear ha detto:
Ti ringrazio per il commento puntuale e le diverse segnalazioni di errori che ho corretto nel mio testo originale e sto meditando se riportarle anche nel blog.
La presenza di tempi al presente e passato prossimo è dovuta al fatto che avrebbero rappresentato i pensieri dell’io narrante come stacco dal racconto. Lo so che grammaticalmente è scorretto ma se apriamo un romanzo qualsiasi ne troviamo a valanghe senza che nessuno trovi da eccepire.
Comunque grazie.