Erano molte le abitudini in casa Majoni che contribuivano a rendere questa una famiglia fuori del comune.
Tra di esse la sontuosità e la cura della tavola s’imponevano con invadenza anche agli occhi degli estranei. Per antica tradizione la servitù veniva istruita sulla predisposizione di un menù settimanale. Nel corso delle ultime due generazioni la questione aveva assunto la centralità di un vero e proprio rituale. Aveva cominciato la nonna materna di Guido, la signora Giulia, col tenere una specie di brogliaccio in cui erano appuntate le portate giornaliere con la giunta di note a piè di pagina che talvolta dettagliavano le spese, talaltra sciorinavano ricette o elargivano consigli sui prodotti di stagione, sul rifornimento dei mercati paesani, sulle frequentazioni dei rivenditori occasionali di generi alimentari. All’inizio dunque si trattava di scritture private, custodite con un senso di misura e di riservatezza negli stipi del mobile più grande della dispensa, al riparo da occhi indiscreti.
A poco a poco però il quaderno aveva perso la sua originaria funzione, in coincidenza con l’affermarsi della grassa ospitalità di casa Majoni, divenendo appunto un elemento di distinzione e di mondanità. Rita Majoni che in quella famiglia era entrata giovanissima e aveva dovuto sottostare alla conduzione ferma e dispotica della suocera, non potendo distaccarsi dalla tradizione, l’aveva anzi perfezionata. Così ora il libro dei menù troneggiava nell’ingresso che ospitava l’ampia scalinata conducente al piano superiore e occupava una posizione paritaria, accanto al libro degli ospiti, accomodato sullo scrivinpièdi situato ai margini della bella porta in mogano, le cui ante sempre aperte conferivano ufficialità ai ricevimenti nella sala da pranzo.
Di queste innovazioni si era avvantaggiata soprattutto la bottega artigiana di Morellino; a lui si rivolgevano i notabili del paese e dei dintorni sia per il commercio di libri antichi e per i necessari restauri, sia per le rilegature ex novo, ma sempre realizzate in finissima pergamena, a richiesta anche miniata. Quell’anno l’ordinazione di casa Majoni contava sette esemplari. Oltre al libro del menù e a quello degli ospiti, Rita Majoni aveva ordinato ben due book con cui inaugurare gli scatti per il prossimo battesimo dell’ultimo nato, due agende per l’anno in corso e una rubrica telefonica. Curiosamente, invece, anziché ordinare il diario scolastico per la figlia minore, la madre aveva preferito confermare una cover di misure ridotte in pelle scamosciata elegante e cifrata.
Valentina Majoni, Titti come la chiamavano in casa, avrebbe compiuto proprio quell’anno il suo diciassettesimo compleanno. La madre non aveva tardato ad accorgersi che la figlia era nel bezzo di una tempesta ormonale, nel guado di un’età dove la critica per gli adulti si fa a misura sempre più acre, le discussioni diventano espedienti crudeli per provare la propria superiorità in termini di volontà di potenza e spesso anche di tenuta morale. Nella discussione sul diario scolastico Rita Majoni aveva finito per capitolare, autorizzando la figlia a comprare e utilizzare il più attuale, illustrato con le vignette di Jacovitti e suggerito dalla stessa direzione scolastica per l’indubbia funzionalità. Inoltre, poiché era donna non priva d’ironia e le piaceva sperimentare soluzioni diplomatiche che mettessero insieme capra e cavoli, Rita convinse anche Valentina a introdurre quell’oggetto dozzinale in casa e cominciò a usarlo, come suo promemoria personale, benché travestito sotto la cover in fine camoscio. “Anche la modernità può vestirsi di eleganza” amava ripetere alla figlia Rita Majoni, convinta che il suo esempio fosse il migliore antidoto per combattere la sciatteria che Valentina ultimamente manifestava nei gusti personali.
Gli scontri con Valentina erano frequenti, ma lei aveva il dono di non drammatizzare. Soprattutto ora che il tempo a sua disposizione era stravolto dalla cura per il neonato, Rita si sentiva impegnata in un gioco di equilibri incerti quasi a ridescrivere le regole della casa e poneva molto attenzione a non lasciarsi andare a moti d’impazienza che facilmente potevano esserle rimproverati come trascuratezza e disaffezione. Questo faceva la differenza tra l’atteggiamento della donna e quello di Guido Majoni.

Guido rincasò tardi anche quella sera; si chiuse dietro la porta di casa, rumorosamente, con poco rispetto per l’altrui udito e imprecò contro la pioggia inclemente che aveva appesantito il suo loden e che ne rendeva improbabile l’utilizzo per il dopocena. Di malumore, tirato e stanco, si recò nei locali della dispensa, certo di trovarvi Bettina o qualcun altro della servitù su cui sfogare la sua momentanea insoddisfazione. Il caso volle che trovasse le donne, entrambe, impegnate in un’incombenza che lo riguardava personalmente e ciò gli dette la piacevole sensazione di non essere finito in fondo alla lista nelle priorità di quella casa di cui si sentiva ancora e a buon titolo il padrone.
“Quante volte ti ho detto che non devi ritrovarti all’ultimo momento, il Dottore è uso avvisare con scarso anticipo e di questi tempi è sempre impegnato fuor di casa. Meno male che io sono previdente e avevo già dato un’occhiata ai gemelli e li avevo rinforzati”.
Bettina stava apostrofando così la nipote, che di tanto in tanto faceva venire a giornata per darle una mano nel rassettare il bucato, mettere qualche punto e soprattutto aiutarla a stirare le camicie del padrone e le tenute delle signorine. Pentitasi del modo con cui si era rivolta a Laura, Bettina cercò di rimediare:
“Non ti scoraggiare su, è l’esperienza che mi fa parlare: piuttosto vai in giardino e scegli una bella gardenia, vedrai che il padrone non potrà che rimanere soddisfatto del suo completo così tirato a lucido e ben stirato.”
“E’ davvero un bel completo, Bettina, come farei se ci non foste voi, siete l’unica donna di casa che mi ricolma ancora di attenzioni.”
Così dicendo Guido era rimasto prudentemente sulla soglia della dispensa; non gli piaceva mescolarsi alla servitù e d’altronde mai aveva visto le donne di casa, pure costrette a una maggiore confidenzialità, addentrarsi nelle stanze dedicate ai lavori più modesti. Anche per discendenza maschile, d’altro canto, Guido aveva ereditato il modo brusco, quasi ruvido nell’impartire gli ordini. Di suo aveva aggiunto però la mania di tenere tutto in ordine e sotto controllo, così da avere la certezza che le cose andassero proprio come lui aveva disposto, quasi che avesse necessità di continue conferme che le cose e le persone fossero a sua concreta diposizione. Una signoria così invadente e pesante invogliava la servitù a piccoli sotterfugi, a scappatoie e sorde ribellioni.  Più di una volta Guido si era ritrovato davanti a una resistenza che talvolta lo intralciava nei propri obiettivi e non aveva tardato a imparare la lezione. Così il suo stile di comando, pur rimanendo duro nella sostanza, si era ammantato di una cortina sordida e menzognera, una sorta di eleganza burrosa che lo autorizzava a spingersi ben oltre nel rapporto con gli inservienti e nella pretesa di obbedienza e scrupolosità ai propri ordini.

Fu quindi con voce quasi melliflua che Guido si rivolse a Bettina per ordinare gli fosse preparata la sala da bagno e posticipato di una mezz’ora buona l’appuntamento in sala da pranzo. Non si scomodò neppure a comunicare l’innovazione agli altri membri della famiglia, che tanto ci avrebbe pensato la servitù. Mentre saliva le scale si sentì appesantito alle gambe e dovette appoggiarsi più volte al bel corrimano di olivo. Non poté fare a meno di pensare che quel sabato sera sarebbe stato più tristo del solito e sentì la mancanza della figlia maggiore Federica, l’unica in famiglia che lo accoglieva festosa al ritorno dal lavoro, buttandogli le braccia al collo e stampandogli in fronte un bacio umido e pronunciato, che sempre lo faceva inorgoglire. Quando finalmente fu giunto nel corridoio spazioso e poco luminoso del piano secondo, passò con noncuranza davanti alla porta della camera matrimoniale da cui Rita negli ultimi due mesi lo aveva fermamente sbattuto fuori, con la scusa delle poppate del bimbo.

“Stasera hanno deciso tutti di essere in ritardo”, pensò Rita, mentre si adagiava nella comoda seduta. Appoggiandosi allo schienale alto, sentì il proprio corpo aderire al liscio velluto della tappezzeria, anche se il fastidioso dolore proveniente dalle sue reni non cessava. Così si sorprese a pensare alla propria mole e a quanto poco si confacesse a una signora della buona società come lei La scusante dell’età le appariva debole e sfocata, soprattutto se paragonata al suo ruolo così recente di madre. Si rimproverò di essersi lasciata troppo andare in quegli ultimi mesi di vita necessariamente casalinga. Anche se il suo rapporto con Guido era in crisi da tempo e nel segreto dell’alcova le sue arti muliebri erano sempre meno richieste, Rita intendeva almeno salvare le apparenze. Si preoccupava soprattutto di essere all’altezza nella vita di società. In fondo lei e Guido avevano ancora due figlie in età da marito da sistemare, e non poteva acconsentire che i loro dissidi le coinvolgessero, accomunandole nel declino. Mentre questi pensieri grevi le attraversavano la mente, prese a riflettere sulla propria toilette di quella sera. Così si scostò lentamente dal tavolo e si mise a studiare le pieghe del proprio volto, riflesso negli ampi volumi della specchiera dei mobili in salotto. Il suo sguardo indagatore e ansioso momentaneamente si acquietò. Il volto manteneva un aspetto ancora tonico, con la pelle fresca, l’arcata sopraccigliare e le palpebre ben rialzate, senza inestetismi visibili, eccetto le occhiaie leggermente marcate, che aveva sapientemente camuffato con il trucco. Le fattezze del viso, incorniciate dal bell’ovale, avevano mantenuto la propria grazia classica. Certo ora il mento si era fatto più squadrato e più duro, le labbra sottili erano tirate e come incollate agli angoli della bocca. Era chiaro che raramente si concedevano il lusso di un sorriso liberatore.
Rita non fece a tempo ad assecondare questo suo moto di vanità, perché nella stanza irruppe rumorosamente la figlia Titti. Evidentemente su di giri, si comportava come se volesse rubare la scena. Aveva indossato una camicetta a guepière di pessimo gusto, cui solo le misure contenute e quasi androgine della ragazza impedivano di sfociare, con immediatezza, nella volgarità. Era comunque una tenuta ingiustificata per una riunione familiare ed evidentemente provocatoria. Il trucco al volto era estremizzato, pesante e sbavato, non si sa se per imperizia della mano o per aderenza a qualche ultima stravaganza della moda, un misto di eccesso e di cialtroneria. Se Rita Majoni avesse seguito il suo istinto, l’avrebbe immediatamente e volentieri spedita al piano superiore, ingiungendole come minimo di rendersi presentabile, con la faccia ben lavata e priva di trucco e indossando qualcosa di appropriato che le coprisse le spalle e la coppa dei seni. Fu anche molto tentata di mettere in ridicolo le scarpe esageratamente alte che le conferivano un’andatura poco spedita e circospetta.

Rita però si sentì improvvisamente stanca, avvertendo il peso di un’educazione familiare il cui onere si riversava tutto sulle sue spalle e decise che quella sera si sarebbe astenuta dall’intervenire. Se Titti voleva provocare e finalmente richiamare su di sé l’attenzione, approfittando di una serata in cui non aveva da temere il confronto con lo stile sicuro della sorella, che facesse pure. Rita era curiosa di vedere come se la sarebbe cavata Guido senza poter contare sul suo abile equilibrismo. Così si limitò a lanciare alla figlia uno sguardo quasi compassionevole e pronunciò poche parole:
“Che ne dici se almeno ti scostassi la frangia dagli occhi, e ti sistemassi le labbra con questo?”. Così dicendo le porse una salvietta prendendola in prestito dal servizio di tazzine già predisposto per il caffè e fece avvicinare Titti al buffet; sperava che in un afflato di buon senso eliminasse in parte il rosso debordante agli angoli della bocca e tamponasse le labbra.
“ La cena del sabato sera è uno dei pochi momenti in cui possiamo riunirci pacificamente tutti insieme intorno alla tavola, sembra proprio che tu la pensi diversamente.”
Non sono l’unica a non gradire … Papà è in ritardo, probabilmente è indeciso se partecipare, in fondo manca il pezzo migliore non trovi?”.
“Lascia in pace tua sorella, almeno quando è a debita distanza. Che quando state insieme, siete sempre a bacchettarvi. Ecco, sta arrivando anche tuo padre”.
Quando Guido entrò in sala da pranzo, trovò entrambe le donne già accomodate al tavolo, con Titti rannicchiata in modo strano sulla sedia, impegnata con studiata noncuranza a sfogliare le pagine di una rivista. Un atteggiamento certo non nuovo nella figlia, che lo innervosiva e che mal tollerava. Istintivamente mentre si accomodava a sedere, Guido, fu sorpreso e infastidito dal silenzio di Rita. Contava che, come al solito, fosse lei a pronunciare le fatidiche parole che rimettevano le cose sul binario giusto e gli restituivano la considerazione dovuta al capofamiglia. Rita invece manteneva un curioso riserbo, con uno sguardo di rimando duro e metallico, che in qualche modo preannunciava la morsa del mento a cingere le labbra ostinatamente serrate. Ora che l’osservava meglio, concedendosi il  lusso di riflettere, Guido divenne certo che quella varianza sul copione della serata non era improvvisata. Era il frutto di una pensata di Rita, che in qualche maniera tentava di riguadagnare terreno.

Guido doveva ammettere che il suo modo di comportarsi, nella discussione che aveva preceduto la cena, era stato eccessivo e poco riguardoso. Con quell’ordine da lui caparbiamente impartito alla servitù, di trasportare il bimbo al piano inferiore, sistemando la carrozzina nell’ingresso. Rita avrebbe voluto lasciare in pace il figlio nella culla, senza strapparlo al sonno riparatore già iniziato, e si era vista messa da parte in malo modo senza che le sue rimostranze di madre trovassero ascolto. Nella bizza stizzosa e piccata che ne era seguita, Guido stupidamente si era inorgoglito della reazione del piccolo e aveva continuato a marcare le distanze.  Ormai, con il rapporto tra loro giunto al capolinea, poco si curava della reazione della moglie. Desiderava anzi di relegarla a un ruolo subalterno nella vita domestica, umiliata e non più riconosciuta come accorta consigliera nelle scelte di vita privata e pubblica della famiglia. Certo, cosi facendo, non avrebbe più potuto contare sul suo appoggio e la loro sarebbe stata un’interminabile pace armata.

Finalmente l’’ingresso di Bettina nella stanza per chiedere se la cena potesse essere servita, liberò Guido dall’imbarazzo di quelle novità.
“Sì Bettina, dite a Laura che può servire” aggiunse Rita con tono pacato e asciutto.
Bettina non fece a tempo a uscire dalla stanza perché Guido, invogliato dalla singolare tensione della serata, le ordinò di avvicinare alla tavola anche la carrozzina del bimbo.
“ Bettina, quella di stasera è proprio una bella trovata! Che dormire e non dormire, in casa Mayoni siamo sempre stati svegli.”.
Così dicendo si alzò a scostare il lenzuolino, lasciando libero il figlio, che intanto si era coricato di lato e si mostrava sveglio e ben disposto.
Bettina, voglio che lo liberiate da queste fasce” così dicendo cominciò a slacciare lo spillo da balia, mostrandole chiaramente che il lavoro doveva essere terminato e fingendo di ignorare il moto di Rita che si era già alzata dalla sedia e si stava avvicinando.
“Oh le mie donne di casa! Finalmente mi rivolgete lo sguardo. Ma non scomodatevi ad avvicinarvi. Ecco, lo voglio così, con il sesso libero. Accomodatevi a sedere, su, che non c’è niente di strano a vedere i prodigi di madre natura”.
Intanto Guido aveva preso il bimbo in braccio, ma lo teneva scostato da sé e bene in alto, solo cingendolo prudentemente dietro la testa, per ammirarlo meglio. Ora lo aveva voltato: lo teneva più comodo, appoggiato con il dorso sulla sua spalla possente e stava iniziando il lento giro del tavolo ovale, con l’intento di avvicinarsi a Rita .
“Che ne dici Rita di questo gioiello” intanto Guido l’aveva raggiunta al suo posto a tavola e stava vistosamente avvicinando il sesso del bimbo alla sua bocca. Su da brava Rita, con le labbra, su, tienilo calmo, che si è intirizzito tutto e sta per prendere una nuova bizza, su da brava, che ci sai fare. Queste cose non si dimenticano, vero Rita! E tu Titti, guarda tua madre che almeno tu le possa somigliare in questo!”.
Rita, benché visibilmente a disagio e arrossata in volto, con calma accostò le labbra al sesso del bimbo, schiudendole in un bacio casto.
Bettina non stava più nella pelle, pensando che le cose erano andate ben oltre il consentito. Si accostò alla coppia, apostrofando il Dottore con un bel
“Non le sembra di esagerare? Il bimbo è piccolo e fa freddo. Se continua così, sarà eccitato anche alla prossima poppata”.
Non tardò ad accorgersi che il Dottore si stava indurendo in volto e probabilmente voleva continuare con quella farsa. Doveva escogitare qualcosa per allentare la tensione e fare alla svelta, dando una svolta positiva alla serata, che altrimenti rischiava di mettersi proprio male.
Così alzò le spalle e sostenne senza timore lo sguardo del Dottore, mentre, sorprendendo tutti, se ne uscì con una battuta risolutiva:
“Lo sa Dottore che stasera ha indossato davvero una magnifica cravatta, di un bel colore ambrato che ricorda il marrone vellutato dei suoi occhi”.
Guido intimidito da quell’improvvisa confidenza, abbassò gli occhi a rimirare l’eleganza di quell’accessorio che aveva scelto con noncuranza, guidato dall’abitudine al lusso. Si senti improvvisamente impacciato e ridicolo con il bimbo in braccio e fu preso da un’immediata voglia di liberarsi di quel fardello.
Niente di più facile per lui scostarsi da Rita e abbandonare il pargolo nelle braccia invitanti di Bettina.

Rita, che intanto si era ricomposta, con voce impostata nel tono, pacato e compassato, non mancò di ringraziare Bettina e la licenziò invitandola a fare entrare Laura per servire il primo piatto.
Bettina, con ancora in braccio il bimbo, scomparve opportunamente nei locali di servizio e a voce bassa, impartì le ultime disposizioni perché finalmente il brodo caldo e fumante potesse essere servito in tavola e la cena consumata.
Quando Laura entrò in sala da pranzo, l’atmosfera era ancora tesa. Rita, evidentemente imbarazzata dalla presenza della giovane che da poco era entrata a frequentare la famiglia, tentò di liberarla con scarne parole:
“Non importa Laura, lasci pure la zuppiera in tavola. Può ritirarsi, stasera non abbiamo più bisogno di lei”.
“ Ma perché, una giovane di così bella presenza! Non vedo perché dovremmo rinunciare ai suoi servigi. Termini pure il suo lavoro e… si accomodi più alta quella cuffia per la testa; è un vero peccato che un bel viso come il suo non possa essere incorniciato da dei bei capelli sciolti e morbidi. Niente a che vedere con quelle onde unte e bisunte che nostra figlia Titti continua a propinarci davanti, anche nei giorni di festa”.
Guidò, così dicendo, non le staccò mai gli occhi di dosso; la ragazza intanto stava terminando il giro della tavola, cercando di rimanere impassibile, ma mantenendo un’espressione del volto compunta e dura, in modo da non incoraggiare nuove confidenze.
Titti intanto aveva abbandonato la propria posizione di sghembo e si era seduta a tavola più composta, ripiegando il ciuffo lungo della frangia dietro gli orecchi e liberando almeno in parte la fronte. Ora i suoi occhi apparivano cerchiati e la pesantezza del trucco si palesava anche come espediente destinato a camuffare stanchezza e stress. L’attenzione di Titti, nel frangente di quella serata, si andava concentrando sul comportamento della madre. Soprattutto con gli occhi si rivolgeva insistentemente a lei. Le pareva inaccettabile che la madre consentisse questo comportamento del marito. Nel proprio intimo, sperava in un suo intervento, che per lo meno interrompesse il rituale della cena, imprimendo un diversivo al corso degli eventi.
Evidentemente però l’esternazioni di Guido quella sera non dovevano ancora cessare. Aveva appena posato lo sguardo nel piatto e accostato il cucchiaio alla bocca che con un misto d’indignazione esclamava:
“Ma davvero che qui credono tutti di farmi fesso e lei Laura non stia lì impalata col muso lungo, come se ci fosse il morto in casa. Vada a chiamare Bettina che la qualità in questa casa del mangiare diventa sempre più scadente”.
Bettina che se ne stava all’erta e con gli orecchi alzati, entrò nella stanza senza necessità di successivi richiami e troppe cerimonie.
“Mi dica Dottore, c’è forse qualcosa che non l’aggrada?”.
“Non mi vorrà dire che questo è brodo di cappone vero ?”.
“ In effetti, dottore è brodo di manzo e del migliore. Così come la pasta, tortellini fatti mano e di primissima qualità. I nostri fornitori sono sempre fidati e all’altezza dei suoi desideri. Solo che in questi giorni, come lei sa, c è stato in casa un bel po’ di trambusto. Abbiamo dovuto organizzare con la signora la prima visita dal pediatra del piccolo e tra una cosa e l’altra il menù del sabato è passato in second’ordine”.
“ Bene, è chiaro che non ho messo un erede al mondo per essere messo in fondo alla lista di questa casa, in tutto. Anche se si tratta dell’unico erede maschio, è ancora presto perché gli ceda il passo. Intanto, Bettina, domani comincerete a sgombrare la camera matrimoniale della culla del piccolo e lo trasferirete nell’anticamera. Anche se lo svezzamento è ancora lontano, due mesi di esclusiva attenzione da parte della madre sono più che sufficienti. Non ho certo intenzione di tirare su un mammone e le brutte pieghe si prendono sempre in tenerissima età. Rita naturalmente le darà una mano. Sono certa che anche lei è impaziente quanto me di riprendere la vita di prima. Ah, naturalmente non si dimentichi di fare riportare al suo posto la dormeuse. Non ha certo la comodità del letto coniugale”.
Guido accompagnò queste parole, lanciando uno sguardo alla moglie, che più che essere d’intesa sembrava sottintendere una sfida. D’altronde il mutismo di Rita, se aveva in sé qualcosa di enigmatico, non escludeva ancora una svolta decisamente più turbolenta, potendo far presagire anche una scenata.
Bettina, che non vedeva l’ora di togliersi di mezzo, proferì la formula di rito in maniera formale e con poca convinzione.
“Certamente Dottore, come lei desidera”.
Quando la servitù se ne fu andata, la più visibilmente scossa era Titti. Guido che, intanto, stava cominciando ad apprezzare la cucina, sembrava più intento a dedicare attenzione al piatto di tortellini che agli altri commensali.
Fu quindi Rita a parlare per prima:
“Non capisco come tu possa avere fatto una scenata del genere di fronte alla servitù”.
“ Alla buon ora ti decidi a parlare, ultimamente sei sempre più distratta. Ti piace recitare la parte della mamma, quasi che fossi tornata alla prima esperienza; ma non sei certo una mamma bambina. Che ti devo insegnare io a stare dietro alle nostre figlie? Guarda stasera Titti, come si è conciata. Manca poco che la scambio per una da marciapiede. Invece che pensare alle mie scenate, vedi di rinsavire e di farlo alla svelta !”.
Rita, benché cercasse di dominarsi, si lasciò sfuggire:
“Già, chissà se te ne intendi di donne da marciapiede”.
Titti che già era al limite della sopportazione, raggomitolò con mossa stizzosa il tovagliolo e guardò prima la madre e poi il padre:
“ Ma guardatevi che bella coppia che siete, proprio l’ideale, mi fate schifo, non vi sopporto più”.
“ Non avrai intenzione di lasciare la tavola, vero? Lo sai che non è buona educazione, la prima regola in casa e fuor di casa è quella di non fuggire davanti ai problemi. “
“ Lascia perdere Rita, tanto anche per me la cena è terminata non ho affatto intenzione di consumare il secondo piatto. Me ne vado al circolo a fare una partitina a bridge”.
“ Certo, anche tu come tua figlia, sei bravo solo ad abbandonare la scena. Solo che lei ha ancora tempo per sapere come comportarsi. In fondo è solo un’adolescente”.
“ Vedi Rita, che cosa ammiro in te. Questa tua certezza di sapere sempre come comportarsi. Qualche volta è un conforto, ma qualche altra, sai, viene proprio voglia di metterti alla prova!”.
Così dicendo Guido le voltò le spalle e guadagnò l’uscita, senza neanche degnare di uno sguardo il piccolo che, sistemato, nell’ingresso, si era nuovamente svegliato e cominciava a reclamare attenzione.
Rita preferì concedersi il tempo per la poppata. Chiamò Bettina e si fece avvicinare la carrozzina. Cercò di accomodarsi alla meglio sulla poltrona in salotto, vicino al camino. Allungando le gambe, riuscì a distendere le membra. Non altrettanto i pensieri che le percorrevano la mente. Le sembrò anche che il flusso del latte fosse meno copioso di sempre. L’unica consolazione fu che il bimbo non manifestò nessun disagio e dopo la poppata si addormentò più celermente del solito.
Prima di risalire al piano superiore Rita chiamò Bettina per darle la buona notte, pregandola di coricare il piccolo nella culla sistemata ancora, per quella notte, nella camera matrimoniale.
Bettina, che era affezionata alla signora, si espresse con qualche frase di circostanza. Non le sembrava giusto di lasciarsi così senza alcun cenno a quello che era successo.
“ Ah…, Bettina, per me ora sono importanti i miei tre figli e tutto il resto passa in second’ordine; soprattutto mi preoccupa Titti, la sua fragilità. ”
Quando Rita bussò alla porta della figlia, sperando vivamente che non fosse così caparbia da non aprirle, molti pensieri le si affollavano in testa. Il loro forse era solo un conflitto generazionale. Era chiaro che Titti si rifiutava di accondiscendere alle regole non scritte di quella casa. Odiava soprattutto, nella madre, quella sua deliberata intenzione di salvare le apparenze. Le sembrava che tutto si riducesse a una questione di etichetta; mentre per Rita, donna pratica e con poche fregole in testa, l’etichetta era anche un segno di distinzione che portava in sé la certezza di essere accettata nel proprio ambiente sociale. Dunque, non una cosa di poco conto per chi come lei era di natali modesti e aveva contato anche sulla propria malleabilità sociale per fondare la propria fortuna. Certo anche lei, in quegli ultimi mesi in cui aveva sopportato l’umiliazione di vedere il marito sempre più distante dal focolare domestico, addirittura assente alla nascita del figlio, con scusanti imbastite alla bella e buona all’ultimo momento, si andava domandando se non stava pagando un prezzo troppo elevato. Si chiedeva anche quali domande le avrebbe posto Titti, se si fosse decisa ad aprire la porta: probabilmente quelle che lei ancora non aveva posto al marito e soprattutto a se stessa. Quando varcò la soglia della camera, Rita fu certa che Titti non era la sola donna a essere fragile in casa Majoni.